di Ludovica Sommaiuolo
Il 13 dicembre, alle ore 18.00, nell’Auditorium dell’Istituto Quinto Orazio Flacco c’è stato uno spettacolo imperdibile: “Nisciuno nasce ‘mparato” di Amedeo Colella. Un viaggio nelle tradizioni e nella cultura napoletana raccontato attraverso storie, aneddoti e macchiette, il tutto arricchito dallo stile ironico e dissacrante che contraddistingue il simpatico e amato professore di napoletanità: Amedeo Colella. A fare da cornice a questa performance, le melodie del maestro Francesco Cuomo e le interpretazioni del poliedrico artista Umberto Tommaselli, che ha dato vita a testi tratti dal repertorio classico napoletano di Ferdinando Russo, Eduardo De Filippo e Raffaele Viviani.
Questo evento è stato pensato come un momento di svago che rappresenta anche un’occasione per salutarsi in vista del Natale. A presentare questo speciale appuntamento è stata la Dirigente Scolastica, Prof.ssa Iolanda Giovidelli, insieme al Sindaco del Comune di Portici, Vincenzo Cuomo. Leggendo le risposte di Amedeo Colella all’intervista che ha rilasciato a margine dell’evento a CoMeTe.info, abbiamo la possibilità di capire il suo pensiero riguardo Napoli e la sua immensiità.
Nelle sue performance c’è una volontà di fare educazione culturale, ma sempre con una certa dose di ironia. Quanto pensa che l’ironia possa essere un mezzo efficace per raccontare la cultura di una città come Napoli?
«Sì, esattamente. La mia è una divulgazione culturale fatta in modo dissacrante e leggero. Mi piace spiegare i turpiloqui, le parolacce, e raccontare fatti storici in maniera ironica, romanzando la realtà. Uso l’ironia perché credo che bisogna essere leggeri e fare in modo che il pubblico non si stanchi subito. Questo è uno stile espositivo che non credevo interessasse, invece sta avendo un successo che io stesso non immaginavo».
Pensa che l’arte e la cultura napoletana siano riusciti a mantenere il loro fascino anche al di fuori di Napoli? Come si può trasmettere la napoletanità alle nuove generazioni?
«La napoletanità è un concetto che adoro follemente. Siamo una popolazione fortunata, perché abbiamo sempre avuto risorse immense, in ogni campo. Arte, storia, lingua, cultura, gastronomia, cinema, teatro… in tutte queste discipline ci siamo sempre distinti. Per me, napoletanità significa eccellere. Bisogna però saper spiegare queste cose anche agli stessi napoletani, i quali molto spesso ignorano tante cose».
Come vede il futuro delle tradizioni partenopee: saranno capaci di evolversi senza perdere la loro autenticità?
«Napoli è una città che ha saputo mantenere la sua autenticità. Ha attratto persone da ogni angolo del mondo, forse troppe, e la continua crescita ha portato anche a un aspetto negativo: la città rischia di perdere la sua stessa autenticità a causa della sua continua espansione. Oggi Napoli è vittima della sua stessa crescita».
Se dovesse consigliare a chi non è di Napoli un luogo, un piatto e una tradizione da scoprire, quale sceglierebbe? E perché?
«Non ho dubbi sul luogo: la Certosa di San Martino, a Castel Sant’Elmo, è uno scrigno di bellezza che non ha eguali. Per quanto riguarda il piatto, la genovese è una delle eccellenze della nostra cucina. E infine, la mia tradizione preferita è la tombola: è un gioco antichissimo napoletano che, dopo anni, non smette mai di divertire».