Medea è uno dei nomi che più riecheggia nella letteratura greca: l’omonima tragedia euripidea si classifica certamente tra le versioni più note del mito: quest’anno, l’INDA l’ha inserita nel programma
di rappresentazione per la stagione di spettacoli a Siracusa, che hanno come cornice il
suggestivo teatro greco all’interno del parco archeologico. Quella di Medea è una tragedia
familiare, che si consuma tra le mura di casa: infatti, le scenografie sono bianche pareti
domestiche, con arredi neri che risaltano all’occhio dello spettatore. Il coro, nelle vesti di serve e
donne di casa, è risultato decisamente ampio, ma suggestivo, portatore delle scene man mano che si susseguivano, e si è dimostrato fondamentale nell’attimo più delicato della rappresentazione, il momento dell’infanticidio.
Su questa tragedia non abbiamo dubbi: gli applausi del pubblico sono andati tutti alla Medea, interpretata da Laura Marinoni, che ha perfettamente riportato una delle donne più controverse e raccontate del mondo greco sotto i nostri occhi. Anche qui, le scelte stilistiche non si lasciano al caso: nelle prime scene, Medea ha la testa
di un corvo, i suoi figli di due conigli, quasi a presagire l’attacco futuro della madre su di loro;
Creonte e il suo seguito sono invece coccodrilli, che strisciano fino ai piedi di Medea con bastoni e
andature claudicanti. Unica nota stonata per i più è stata la rappresentazione del carro del sole
presente nella scena finale con una gru meccanica, che per quanto funzionale al sollevare l’attrice
spaccava la scena del confronto tra Medea e Giasone, rendendola stridente. Questo piccolo
screzio visivo si è tuttavia risolto in fretta: nella scena conclusiva, con un impeccabile uso delle
parole del coro greco, il pavimento si alza in botole, facendo crollare i mobili centro del palco
mentre le serve puliscono attorno a loro con stracci che, in realtà, macchiano le lamine bianche del
pavimento con chiazze rosse inconfondibili. Ancor più che le parole di Medea, forse, è proprio
questo gioco di non-detto che ci rivela la natura del dramma: la distruzione di un nucleo familiare,
di una realtà, di una stanza che non ha fatto altro se non essere mimesi di Medea, Giasone e i suoi
bambini. Abbi pietà di una casa che crolla, scriveva Virgilio, e nonostante Medea sia una
vendicativa assassina, e nonostante quel sangue che si porta sulle mani, la chiusura visiva
della tragedia ci ricollega a questo preciso sentimento, alla disfatta del focolare, alla compassione
per una realtà distrutta dal tradimento e dalla follia.
Chiara Romano
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